L’OssCom (Centro di Ricerca sui media e la comunicazione) dell’Università Cattolica, ha realizzato nel 2016 una ricerca per il Corecom Lombardia, sul rapporto quotidiano dei giovani con le piattaforme online e, più specificatamente, con i social media , al fine di individuare i comportamenti più rischiosi e le strategie più efficaci per contrastarli.

 

Successivamente la ricerca è stata estesa coinvolgendo anche i Corecom di Lazio e Campania con le Università Federico II di Napoli, La Sapienza, la LUMSA di Roma e la Cattolica di Milano.
L’analisi dei comportamenti online dei giovani non può però prescindere da uno sguardo comparativo a livello nazionale e internazionale.
Tenendo conto, quindi, che i ragazzi navigano in internet ancor prima di possedere un telefono cellulare e che l’età media in cui si possiede il primo smartphone è compresa tra gli 8 e i 12 anni, l’Italia risulta essere il paese Europeo in cui l’età media di accesso a internet è la è più alta.
Lo studio ha rivelato che l’uso dei social media è centrale nell’esperienza online dei più giovani, soprattutto nei pre adolescenti (11-14 anni). Infatti l’86,5% degli utenti tra gli 11 e i 18 anni ha almeno un profilo attivo sui social network: la maggior parte ha solo un profilo (49,4%, mentre un terzo di essi (31,3%) ne ha diversi. I social network più utilizzati risultano WhatsApp (37,3%), Facebook (36,5%) e Instagram (18,8%), anche se WhatsApp è l’applicazione più utilizzata in assoluto, invece Facebook dà qualche cenno di crisi, nonostante sia il social network più utilizzato dai maschi (39,9 %) e gli adolescenti (37,8%). Per quanto riguarda Facebook è interessante notare quanto l’impostazione del profilo individuale dell’utente tra “pubblico” e “privato” costituiscano una variabile fondamentale per qualificare l’esperienza online dell’utente. È emerso dalla ricerca che più della metà dei giovani intervistati ha un profilo privato (57%), la restante parte ha un profilo pubblico (40,3%), e la percentuale di chi ha un profilo pubblico è maggiore tra i maschi (42,4%) e gli adolescenti (43,2%).
Gli adolescenti mostrano una maggiore propensione alla condivisione delle proprie informazioni personali, mentre i preadolescenti si rivelano più prudenti, tranne che per quanto riguarda il proprio indirizzo (9,5% contro 8,9% degli adolescenti) e un’età diversa da quella reale (26,2% contro 22,4% degli adolescenti, a riprova forse della pratica di bypassare il limite dei 13 anni per accedere ai SNS). In modo analogo le ragazze tendono a condividere meno informazioni personali rispetto ai loro coetanei maschi, con la sola ma significativa eccezione dei materiali fotografici (foto profilo: 77% contro 69,4% dei maschi; foto e video personali: 75,5% contro 69,1% dei maschi).
Alcune pratiche online, come noto, sono estremamente pericolose poichè espongono al contatto con sconosciuti: il 59,9% degli intervistati ha cercato nuovi amici sui social , il 45,7% ha aggiunto contatti che non avevano mai incontrato faccia a faccia, il 30,9% ha inviato informazioni personali a sconosciuti e ,a differenza di quanto si possa immaginare, la riscky communication è generalmente più diffusa tra i maschi rispetto alle femmine.
I rischi più diffusi, indagati dalla ricerca, sono nell’ordine il bullismo, sia offline che online (27,8%), seguito dal sexting (20,1%) e dall’abuso dei dati personali, con percentuali variabili a seconda delle sue diverse forme. Il bullismo offline è ancora più diffuso di quello online; il Cosiddetto cyberbulling è però diffuso su tutte le piattaforme di SNS: il 39,6% delle vittime lo ha sperimentato su Facebook, il 31,7% su WhatsApp, il 14,3% tramite chiamate e SMS sul proprio cellulare e l’8,1% su Instagram. Per quanto riguarda il sexting, le piattaforme più pericolose sono Facebook (45,7% delle vittime) e WhatsApp (44,4%); seguono a distanza gli sms (11,8%) e le altre piattaforme (Instagram 9,5%). La forma di abuso dei dati personali più diffusa è il tagging indesiderato su foto rese pubbliche da altri utenti (24%) e, a scalare, la pubblicazione indesiderata di proprie immagini fotografiche (13,6%), l’uso o la diffusione di informazioni personali da parte di altri (rispettivamente 11,4% e 6%), il furto di identità (6,4% su smartphone, 4,8% su SNS).
Gli episodi di bullismo sono più frequenti fra i maschi (30,2% contro il 25,2% delle femmine) e fra i preadolescenti (30,7% contro il 25% degli adolescenti); il rischio sexting è più diffuso tra i maschi (23,2%) rispetto alle femmine (16,9%), e tra gli adolescenti (21,7%) rispetto ai preadolescenti (18,7%). Il bullismo continua a essere il rischio più dannoso: più di due vittime su tre si dicono ‘abbastanza’ o‘molto’ turbate da quest’esperienza, e il dato sale a tre vittime su quattro tra i preadolescenti e tra le femmine. Tra le vittime del sexting, poco meno dei due terzi si dichiarano ‘abbastanza’ o ‘molto’ turbati dall’esperienza, ancora con maggiore frequenza tra i preadolescenti e tra le femmine, mentre i maschi e gli adolescenti sembrano essere, seppur di poco, meno sensibili al danno.
Per quanto riguarda un confronto cross-regionale sull’uso dei social media, è emerso più specificamente che, possiede più di un profilo all’interno dello stesso SNS il 4,6% dei rispondenti della Lombardia, contro il 6,4% del Lazio e il 6,8% della Campania; account su differenti piattaforme sono utilizzati dal 29,7% dei ragazzi e delle ragazze della Lombardia a fronte di un 32% dei giovani campani e di un 32,1% dei giovani del Lazio. Alcune differenze più marcate a livello cross-regionale si possono osservare per quanto riguarda il tipo di piattaforma su cui si ha il profilo/account che si utilizza più spesso. Se si esclude WhatsApp, infatti, Facebook è richiamato dal 30,9% dei giovani della Lombardia rispetto al 37,2% dei giovani del Lazio e al 41,1% dei giovani della Campania. Un andamento coerente e di segno opposto si osserva per quanto riguarda Instagram, un social network che si sta recentemente facendo strada nelle abitudini dei giovani italiani, lasciando spazio per ipotizzare una sorta di “effetto sostituzione” che sarebbe più accentuato in Lombardia rispetto alle altre regioni considerate.
Anche la gestione della visibilità dei profili social utilizzati dai ragazzi raggiunti dallo studio evidenzia una certa specificità regionale: ha un profilo pubblico il 45,8% dei campani, il 41,4% dei lombardi e solo il 33,7% dei giovani del Lazio. Nel dettaglio, condivide una foto che mostra chiaramente il volto il 67,2% dei ragazzi del Lazio, il 72% di quelli della Lombardia e il 79,6% di quelli della Campania; inserisce il cognome il 59,6% dei lombardi, il 61,7% dei laziali e il 72,4% dei campani.
Tra le pratiche legate alla frequentazione dei SNS che possono configurarsi come potenziali fonti di pericolo per quanto riguarda i fenomeni del cyberbullismo e del sexting, l’indagine ha esplorato l’attività di ricerca di nuovi amici, l’invio di informazioni personali a contatti non incontrati di persona e l’inserimento di questi ultimi all’interno della propria lista di amici. Particolare attenzione è stata altresì posta nei confronti di alcune attività di contrasto che possono essere messe in atto dai giovani e che, considerate nel loro insieme, rappresentano un atteggiamento proattivo di protezione rispetto alla propria presenza online. Nell’ambito di una complessiva omogeneità dei comportamenti dei ragazzi delle tre regioni, si possono mettere in luce alcuni scostamenti, secondo un andamento dei dati che vede i ragazzi della Campania più propensi a mettere in atto tali pratiche rispetto ai giovani lombardi e laziali.
Come già messo in evidenza, l’incidenza complessiva del fenomeno del cyberbullismo intercetta circa il 30% dei ragazzi e delle ragazze delle tre regioni coinvolte nell’indagine. Il confronto tra le regioni, anche in presenza di alcune differenze nei comportamenti online dei giovani delle diverse aree territoriali, mostra un andamento tutto sommato omogeneo del fenomeno, con scarti non particolarmente significativi rispetto alla dichiarazione di essere stati vittime del cyberbullismo e al livello di turbamento che è derivato da tale evenienza. Lo scostamento più rilevante riguarda la percentuale di giovani che dichiara di non essere stata vittima di cyberbullismo (64% Campania, 68,3% Lazio e 70,7% Lombardia), mentre le altre differenze (che riguardano sostanzialmente quanto i ragazzi e le ragazze dichiarano di essere stati turbati) si distribuiscono in maniera meno spiccata. Le differenze più significative si osservano tra chi ha dichiarato di non conoscere nessuno a cui è capitato un episodio legato al cyberbullismo: 54,5% dei giovani campani, 60% dei laziali e 63,1% dei lombardi. Per quanto riguarda le piattaforme dove avvengono gli episodi di cyberbullismo, in termini generali Facebook è la piattaforma in cui i ragazzi hanno sperimentato maggiormente episodi di cyberbullismo. I dati più rilevanti emersi nella comparazione crossregionale si allineano a questa tendenza. Costituisce un’eccezione il caso di WhatsApp dove le differenze in termini di incidenza del fenomeno del cyberbullismo risultato maggiori rispetto alle percentuali di utilizzo della piattaforma. Nel dettaglio si registra uno scarto di circa nove punti percentuali tra Campania (35.9%) e Lazio (27,4%) a fronte di un utilizzo della piattaforma pressoché equivalente nelle tre regioni (considera Facebook il SNS principale il 37,6% dei campani, il 38,1% dei laziali e il 36,1% dei lombardi).
Fondamentale è il ruolo della scuola nell’ambito di mediazione dell’esperienza online dei ragazzi. Gli insegnanti devono poter intervenire e influire in modo correttivo sulla qualità di tale esperienza: un terzo degli intervistati dichiara di aver ricevuto consigli dai propri insegnanti su come comportarsi con i propri contatti online (32%) e su cosa fare nel caso in cui qualcosa li turbasse o infastidisse su internet (32,7%); più contenute sono le percentuali di chi riferisce di un progetto di sensibilizzazione sugli usi sicuri e responsabili dei SNS (24,3%) o di un lavoro – di gruppo o personalizzato – a supporto degli utenti meno consapevoli (dal 18,4% al 12,9%).
La ricerca ha messo in evidenza, quindi, che i giovani italiani sono consapevoli dei rischi dei social media, ma non rinunciano all’uso di questi ultimi, preferendo piuttosto adottare strategie di gestione della propria reputazione online. Ciò è attuato soprattutto da chi è stato vittima di bullismo, sexting o abuso di dati personali. Inoltre i maschi e gli adolescenti (15-18 anni) sono i più esposti ai rischi di cyberbullismo e sexting senza essere turbati da queste esperienze, mentre le femmine hanno un comportamento in media più prudente.
Il mondo degli adulti, le famiglie, le scuole, le istituzioni rappresentano dunque delle risorse essenziali di mediazione per l’esperienza online degli adolescenti italiani e per le strategie di coping.
A partire da tale scenario, risulta chiaro e necessario individuare strumenti efficaci per trasferire, nei contesti scolastici e formativi, non solo le competenze e le abilità tecniche per utilizzare al meglio i media digitali, ma anche le conoscenze che favoriscono una maggiore consapevolezza nel distinguere e valutare sia le opportunità che i rischi del web. Un approccio educativo utile a tale scopo dovrebbe tener conto di tre dimensioni: tecnologica, connessa alla capacità di scegliere le tecnologie più opportune per affrontare problemi reali e padroneggiare contesti tecnologici in rapida e continua evoluzione; cognitiva, connessa alla capacità di saper leggere, selezionare, interpretare e valutare le informazioni sulla base della loro pertinenza ed attendibilità; ed etica, connessa alla capacità di interagire e relazionarsi con altri soggetti in modo costruttivo e responsabile avvalendosi delle tecnologie, con particolare riguardo alla tutela personale ed al rispetto degli altri.

M.P. - U.s. Fe.i.c.o.m.